RIFLESSIONE SUL RAPPORTO TRA LE GIOVANI COPPIE E LE FAMIGLIE D'ORIGINE
La nostra storia potrebbe essere la storia di tante coppie che nel corso della loro esistenza non hanno capito e compreso il valore del matrimonio e in particolare il matrimonio cristiano, visto che ci siamo sposati in Chiesa.
La famiglia, nel suo nucleo principale, è costituita da marito e moglie, e nasce quindi con il matrimonio:
«Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” (Gen 2,24).
Innanzitutto, per creare un nuovo nucleo familiare occorre staccarsi dal vecchio, tagliare il cordone ombelicale: “L’uomo lascerà suo padre e sua madre...”.
Per noi, invece, non stato così, in noi esisteva l’incapacità dì staccarci emotivamente e psicologicamente dalla famiglia d’origine e a causa di questo problema, abbiamo rischiato di separarci come coppia.
Oggi, dopo 27 anni di matrimonio è chiaro il motivo delle scelte fatte in passato.
Il compito che ci spettava come giovane coppia, era quello di sostituire al rapporto genitori-figli il rapporto marito-moglie.
Dopo il matrimonio, infatti, non eravamo più dipendenti dai genitori perché avevamo la responsabilità di guidare e proteggere il nuovo nucleo familiare da noi formato.
Questo non significava rifiutare qualsiasi consiglio o contatto con i genitori, ma avere una maggiore libertà di decisione e azione. E questa maggiore libertà di decisione e azione non c’è stata, un poco per incoscienza, un poco per paura e abbiamo lasciato che i nostri genitori decidessero per noi il nostro futuro.
Il matrimonio doveva essere un viaggio simbolo della nostra crescita e il passaggio definitivo alla vita adulta che ci avrebbe portato verso un punto d’arrivo. Tutto questo ci obbligava a partire, staccarci dalla famiglia, avventurarci nella pericolosa e rischiosa avventura della vita.
In quel viaggio che dovevamo intraprendere c’era uno scopo ben preciso, anche se non conoscevamo l’esito o credevamo di conoscerlo, ma il matrimonio da un lato è sempre un viaggio verso l’ignoto, dall’altro è un viaggio verso una meta che è possibile scoprire solo accettando di lasciarsi guidare dall’Amore.
Ma qualcuno potrebbe osservare: “Ma come si può conciliare quanto è stato detto con il comandamento che dice di onorare padre e madre”?
In realtà non c’è incongruenza, perché più la nuova coppia riuscirà a trovare una sua identità e ad assumersi le proprie responsabilità, meglio onorerà i genitori.
Noi non siamo stati capaci di fare questo perché dipendevamo da loro, le loro decisioni erano per il nostro bene e troppo bene non ci hanno fatto. Molte volte i genitori per il troppo amore distruggono i matrimoni dei loro figli.
Ma questo è successo perché avevamo paure di crescere, eravamo bloccati da quel fideismo tramandatoci dai nostri genitori e quindi incapaci di cogliere il valore di un dono: chiusi in una cecità peggiore di quella fisica e sorda agli effetti e alle gioie della vita.
Per noi tutto era male e la vita di coppia che doveva essere la nostra grandezza, paradossalmente diventò la nostra angoscia.
Noi dovevamo essere il riscatto dei loro insuccessi. E noi cercavamo di osservare queste norme che ci tramandavano, ma furono causa della nostra infelicità. Malgrado questo i nostri genitori volevano che seguissimo in tutto e per tutto le loro orme. Le nostre famiglie erano chiuse nella difesa della propria identità, preservando il clan familiare, fino a diventare cieche e volte persino disumane.
Noi avevamo bisogno di genitori che ci accompagnassero in un cammino di vera libertà, un cammino nel quale la morale è il frutto del cammino stesso. L’autonomia e la libertà non escludono il rispetto dei valori nei quali siamo stati educati, ma li guida a farli propri con una decisione più libera e matura.
Dopo il distacco c’è l’unione; «. . .e si unirà a sua moglie“.
È impossibile realizzare una solida unione senza aver realizzato un vero distacco. La vita matrimoniale può mettere paura, impegnarsi per sempre ad amare un’altra persona, dividere con essa l’intera vita crea preoccupazioni e suscita timori.
Per noi fu facile trovare molte scuse per non impegnarci. È vero che non avevamo casa, il lavoro era precario, ma quello che mancava di più era il coraggio e la voglia di decidere, perché eravamo soffocati dalla paura di buttarci in un’avventura che sembrava troppo grande per noi. Invece di fronte a quelle paure noi avevamo il dovere di reagire e combattere per ottenere buoni risultati.
Il matrimonio sancito davanti a Dio non poteva essere ritardato o delegato, ma tutto era orientato alla vita a due.
L’amore fiorisce dove gli uomini hanno riconquistato la propria libertà, dove hanno scacciato le proprie paure.
In ogni coppia l’uno è destinato all’altra “da sempre”; ma tale vocazione si realizza nella vita quotidiana, con le sue difficoltà, le sue gioie e le sue speranze.
Si tratta di mettere in gioco la propria storia di coppia. Il matrimonio riuscirà solo se i due porranno alla base di esso i valori della vita familiare, se saranno in grado di vivere con maturità la propria vita. Senza un movimento di distacco dalla famiglia di origine, senza il taglio deciso dei cordoni ombelicali, un uomo e una donna non riescono a diventare “sposi”.
La nostra vita matrimoniale era plasmata dalle culture dei nostri genitori. Lasciare la famiglia d’origine significava costruire un nuovo nucleo familiare con abitudini e regole scelte da noi e adattarle alla nuova realtà. Non ci siamo impegnati a realizzare questo e pericolose tensioni si sono create nel nostro rapporto; non ci siamo impegnati a cercare di non conformare il matrimonio soltanto al proprio mondo di provenienza. Certo non si può, né si deve, evitare di attingere dal proprio mondo, ma è bene imparare a tener conto dell’altro, a confrontarsi con il coniuge e il suo mondo.
Dopo dieci anni di matrimonio ormai il nostro rapporto era finito, veramente non era mai cominciato. I genitori erano diventati una presenza costante nella nostra vita e prendevano decisioni anche sui nostri figli.
Era giunto il momento di separarci, bisognava rifarsi una vita degna di essere vissuta. Io non avevo più niente da dire a Concetta e Concetta non aveva più niente da dirmi, o credevamo che non avevamo niente da comunicarci. La verità era che non c’era mai stata data la possibilità di comunicare, quel sottile filo che ci univa veniva continuamente spezzato dai nostri genitori.
Eppure il nostro era stato un matrimonio d’amore, era possibile che nessuno provasse più niente per l’altro?
Il desiderio di appartenere all’altro, era rifiutata proprio da colui al quale l’avevamo accordata. Di conseguenza non eravamo più reali, perché crollavano tutte le nostre aspirazioni e un senso di vuoto invase il nostro animo e rimanemmo due esseri incompleti, privi di quella interezza che ci avrebbe dovuto donare splendore e senso definitivo.
Quell’amore non corrisposto portò ad un’esistenza tra le più disperate che si possono immaginare. La nostra vita diventò una prigione, tutto svanì e perse di significato. La tristezza invase il nostro cuore e vi prese dimora stabilmente. Non c’erano più progetti e speranze.
Era arrivato il momento di staccare definitivamente il cordone ombelicale, per necessità, per scelta, e, alla fine, per vocazione.
Ma era difficile partire da soli: la presenza di una guida diventò indispensabile e il nostro compagno era Dio stesso che si pose accanto a noi e ci accompagnò e ci accompagna ancora nel nostro cammino. Solo Dio ha l’amore e il coraggio di mettersi a camminare a fianco di un altro, rispettandone i tempi e guidandolo così alla propria libertà.
Così accade a ciascuno di noi: Dio si rende presente attraverso uomini e donne che ci guidano, senza pretendere mai di dominarci.
La nostra storia deve far nascere la convinzione che credere nella provvidenza divina non significa rinunciare alla propria libertà, anzi! L’azione provvidenziale di Dio presuppone la libertà dell’uomo. Soltanto Dio, poi, può liberare l’uomo da una devozione “buona” ma alienante. L’azione di Dio segue le vie più impensabili. Dio non è assente nella storia degli uomini; la fede in Lui non ci estranea dal mondo, ma ci colloca ancora più profondamente al suo interno.
Quindi decidemmo di obbedire ad un Dio che ancora non avevamo pienamente sperimentato, però ci lasciava intravedere anche se fioca un po’ di luce nel nostro rapporto.
I precetti trasmessi dai nostri genitori non erano serviti a nulla, non erano riusciti a darci ciò che veramente contava, cioè la gioia di vivere. Un’educazione che non riesce a comunicare tale gioia è un insegnamento vano, addirittura nemico dell’uomo. Forse è anche per questo che tante nostre catechesi, magari piene di sante ed elevate verità, non riescono a far breccia nel cuore degli uomini del nostro tempo, che, non trovando in esse la gioia, vanno così a cercarla da altre parti.
L’amore dei genitori confina spesso pericolosamente con l’egoismo: I nostri genitori dovevano essere educati a comprendere che i figli non erano di loro proprietà ma era un dono, e che il dono più grande che potevano fare a noi era il dono della libertà.
Per questo decidemmo di recidere definitivamente il cordone ombelicale perché ci impediva di diventare adulti, nella vita, nella fede, nell’amore.
Il fatto di essere diventati autonomi e liberi non ha mai escluso dalla nostra vita i genitori, anzi, ora, i nostri genitori si rendono conto che la vita dei loro figli non appartiene più a loro, ma è nelle nostre stesse mani e nelle mani di Dio. Oggi onoriamo i nostri genitori pur non avendo più nessun ruolo decisionale nella nostra vita sanno di non correre il pericolo di essere considerati un peso inutile ed ingombrante;perché essi si sentono, nonostante l’affievolirsi delle forze, parte viva della nostra vita.
Noi abbiamo “perfezionato” i valori con cui siamo stati educati facendoli nostri con una decisione più libera e matura.
Abbiamo dovuto superare le nostre paure, ho dovuto pregare per comprendere che Concetta mi era stata data da sempre e non era di altri. L’unione tra me e Concetta non è stato un fatto accidentale, ma il compiersi di un preciso progetto di Dio, un progetto che nasce dall’eternità. Il matrimonio è l’incontro profondo e vitale di due persone che all’inizio sono estranee l’una all’altra; è l’accoglienza dell’alterità che entra nella mia vita e le da senso.
Questo, per il credente non può avvenire se non come accoglienza di un dono ricevuto da Dio. È Dio che pone una donna di fronte ad un uomo e viceversa, donando l’uno all’altro. L’altro resta sempre un mistero, ma tale mistero, diventa nella coppia, continua scoperta di una persona che non è da possedere, ma è qualcuno che ci è stato donato, al quale donarsi senza riserve. L’altro è sempre un dono, mai una conquista, un mistero da rispettare e da accogliere.
L’amore tra noi due è fiorito quando abbiamo riconquistato la nostra libertà, quando abbiamo scacciato le nostre paure, e dove anche il sesso non incuteva più timore, ma era fonte di gioia, dove la fede ha aperto la certezza che l’amore di coppia è una realtà alla quale gli uomini sono chiamati da Dio. In ogni coppia l’uno è destinato all’altro “da sempre” ma tale vocazioni si realizza nella vita quotidiana , con le sue difficoltà, le sue gioie e le sue speranze.
Si tratta di accettare e mettere in gioco la propria storia di coppia, alla luce del Vangelo. Anche il rapporto con i nostri genitori è cambiato, il ritrovarsi non è stato semplicemente un ritrovare l’armonia perduta (e vissero felici e contenti).
Come coppia adesso siamo cresciuti, capaci di decisioni autonome, non più dipendenti dagli altri. Eravamo una coppia poco cresciuta, dipendente in tutto e per tutto dai nostri genitori, ora invece siamo liberi e per questo che siamo in grado di amare, anche quegli stessi genitori dai quali ci siamo staccati.
Oggi come coppia siamo maturi e siamo capaci di gestire la nostra vita e anche di provvedere anche ai bisogni dei nostri genitori; perché hanno capito che la presenza di Dio nella nostra vita e fonte di gioia e di libertà. Hanno capito che la fede non è soltanto una gabbia di precetti quale, alla fine, non si è più capaci di uscire. I nostri genitori adesso sono liberi, guariti proprio da quei figli che volevano guarire con i loro precetti.
Siamo diventati adulti, abbiamo percorso un lungo cammino e in questo cammino abbiamo anche aiutato i nostri genitori a ritrovare se stessi, facendogli ritrovare la gioia di vivere e la gioia della propria fede, adesso sono capaci di leggere il futuro con una prospettiva di speranza perché come osservava già Cicerone:
“ il peso dell’età è più lieve per chi si sente rispettato ed amato dai giovani ”.
Concludiamo dicendo che gli sposi cristiani sono chiamati ad una missione nei confronti del mondo (“andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mc16,15), ma in questa missione è pur sempre al primo posto la testimonianza della vita che a voi facciamo come augurio:
“Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”.
Salvatore Monetti
Fonte: http://www.qumran2.net